Carlo Cattaneo
LO SCRITTORE AL SERVIZIO DELLA CIVILTÁ
dagli Scritti critici
La letteratura che ai dì nostri si è tutta data al servizio della civiltà non può più essere, come in antico, coltivata nell’isolamento; ci ridiamo ora di letterati anacoreti, alziamo sdegnosi le spalle sulle loro meditazioni egoistiche dalle quali traspira sì profonda ignoranza del mondo e delle cose, erudizione sì limitata, limitata spesso al circuito della propria città o tutt’al più della propria nazione, e che mostrano d’ispirarsi ad idoli da gran tempo abbattuti, a tradizioni scolastiche retoriche o grettamente classiche. Sdegniamo i loro libri che solo la data posta al frontespizio c’indica appartenere al nostro secolo, piuttosto che al Settecento o ancora indietro.
Oggi vogliamo nella letteratura la scienza, non nel senso didattico ma nel senso dell’erudizione vasta, profonda, nel senso della solidarietà delle nazioni, nel senso umanitario, nel senso della libertà. È un errore deplorabile credere che l’erudizione letteraria inceppi lo sviluppo della letteratura nazionale; ne è anzi la condizione, laddove invece un’erudizione monca e parziale le impedisce lo sviluppo, rendendo più facili le imitazioni, meno lampanti le servilità.
Prima di Lessing non v’erano in Germania che le goffe imitazioni di Shakespeare, degli Ayrer e dei Gryphius; ma solo dopo Lessing la Germania ebbe uno Schiller. Prima di Derjavine la Russia non aveva letteratura nazionale; fu la critica che diede i Pouschkine, i Gogol, i Tourguenief.
Le commozioni politiche non affrettano i progressi letterari e scientifici d’un popolo in quanto risvegliano la critica, e la critica non si acquista che coll’eclettismo dell’erudizione.
Tre cose, a parer nostro, concorrono a formare gli scrittori, e sono: leggere, leggere, leggere. Un grado insufficiente di lettura non è che dannoso a chi ambisca ad abilità di scrittore; è un ammasso sconnesso, indigesto, che assolutamente non vale a porgere quel criterio sintetico che scopre i nessi, le relazioni, e di tutti i libri fa un libro solo.
Molti pensano che basti allo scrittore apprendere la scienza di scrivere bene, e s’ingannano; egli prima deve apprendere una scienza non meno ardua, non meno difficile, la scienza di ben leggere, che non si può insegnare, perché da sé stessa s’informa, che non ha mezzi definibili perché vi si arriva più o meno tardi, più o meno difficilmente a seconda delle rivelazioni della sintesi, e che consiste nel ricavare dalla lettura, non più pensieri di questi o quegli, ma il pensiero collettivo dell’umanità.